La vicenda del Ponte
Morandi
L’ingegneria ha
come compito quello di progettare opere che non creino danno per l’uomo. Ma
quando vengono a mancare alcune condizioni, le opere ingegneristiche diventano
trappole mortali. È l’esempio del viadotto di Polcevera, meglio noto come ponte
Morandi. La sua costruzione ad opera dell’ingegner Riccardo Morandi venne vista
come innovativa e di importanza strategica. Ma ben presto sorsero difetti. Il
ponte subì usura a causa dell’acqua del torrente e dei fumi di una fabbrica
vicina ed era quotidianamente sottoposto ad un peso eccessivo: infatti il traffico
che lo attraversava era maggiore del limite massimo che la struttura poteva
sopportare. Per cui nonostante la solidità del materiale che lo componeva (calcestruzzo
armato) e i lavori di manutenzione attuati a partire dagli anni 80, la
struttura peggiorò fino a collassare parzialmente il 14 agosto 2018. La
struttura sovrastava alcune abitazioni poste ai margini del torrente.
Coloro che nel
momento si trovavano sul ponte non erano a rischio: erano presenti periculum e alea ma mancava la discrimen. Coloro i quali vivevano nelle
case al di sotto del ponte erano consapevoli del danno che avrebbero corso
qualora il ponte fosse crollato. Per loro il rischio c’era: erano a conoscenza
del possibile pericolo, avevano operato una scelta e il caso era partecipe;
erano presenti tutte e tre le componenti necessarie a definirlo.
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